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Restituita al pubblico la Basilica di San Giovanni Maggiore di Napoli: sedici secoli di storia
Sono passati quarant’anni dalla chiusura di questa millenaria e sfortunata Basilica. La chiusura ci fu a seguito del crollo del soffitto nel 1970 e di lì iniziarono i lavori di restauro e consolidamento che diedero alla luce l’impianto paleocristiano della chiesa, ma nel 1980, con il terremoto, si bloccarono i lavori che ricominciarono solo nel 1995.
La Basilica di San Giovanni Maggiore si trova nel Largo omonimo, nel cuore del centro storico di Napoli, e finalmente dopo i restauri verrà riaperta al pubblico con un recital di Moni Ovadia (“Oltre i confini, Ebrei e Zingari”, lunedì 23 gennaio 2012 ore 20:00, gratis fino ad esaurimento posti).
Aggiornamento dell’articolo: 25/01/2012, ho caricato alla fine dell’articolo lo spettacolo tenutosi in chiesa in due parti. E’ una semplice registrazione dal vivo fatta con “strumenti di fortuna”, spero apprezzerete.
La fondazione della basilica è da collocare intorno al 324, dopo che fu emanato l’editto di Costatino del 313 d.C. (concessione Imperiale della libertà di culto), anno suggerito da un’iscrizione rinvenuta su un architrave della chiesa e sembrerebbe essere stata voluta proprio dall’Imperatore in persona come ex voto per la figlia Costanza, salvatasi da un disastroso naufragio. (una leggenda?)
Vorrei riportare le bellissime parole del Celano sulla chiesa: “…Si può entrare poi nell’antica chiesa di San Giovanni, che è una delle quattro parocchie maggiori et è abbadiale. Questa ne’ tempi de’ gentili era tempio d’idoli maestosamente eretto dall’imperadore Adriano, e come vuole il nostro dottissimo Giordano che fusse stato dedicato ad Antinoo, di cui quell’imperadore pazzamente arse, e volle che doppo morte fusse qual nume adorato. La testa della statua di questo Antinoo, che in questo tempio ne stava, si vidde nel Palazzo del Conte di Madaloni, ma poi ne fu tolta. Per quello poi che si raccoglie da un antico manoscritto che in detta chiesa si conserva, l’imperador Costantino, trovandosi colla figliuola Costanza ne’ mari della Sicilia travagliati da una gran tempesta, fe’ voto al santo Precursor di Christo, se salvo giungeva in porto, di fabricare ad honor del detto santo una chiesa, e la figliuola di accrescere la spesa in honore di santa Lucia; furono per mezzo dell’intercessione di questi santi dal Signore Iddio esauditi. Approdarono nel porto di Napoli, e presso del porto medesimo, havendo fatto abolire gl’avvanzi del tempio già detto, vi fecer edificare la presente basilica, dotandola colla figliuola di molte rendite, e da Costanza li fu donata la reliquia dell’occhio della santa vergine e martire già detta. Vi fecero anco dipingere a musaico il Salvatore in atto di giudicare. Questo tempio poi per l’antichità più volte caduto, più volte è stato rifatto, et ultimamente col disegno del nostro Dionisio Lazari si è principiato a riedificare di nuovo, e nel cavar le fundamenta presso l’altare maggiore dalla parte dell’Epistola, si trovorno sotterra alcune stanze che havevano il pavimento lavorato a musaico, et in un’altra parte vi si trovarono molti quadroni di durissimi travertini, dallo che s’argomenta che la chiesa sia stata fabricata su le ruine d’antichi edificii. Coll’occasione delle restaurationi di detta chiesa si son perdute molte belle ed antiche memorie che in esse vi stavano. Vi si conserva sì nella cappella laterale della croce dalla parte dell’Evangelio (che detta veniva la Cappella degl’Aquarii) un quadro di marmo nel quale stanno incise queste parole, d’intorno ad un segno di croce, di questa forma.
Dicono alcuni de’ nostri scrittori che questo segno stava su la sepoltura di Partenope, e si fundano su quelle parole: “Partenopem tege fauste”, e vogliono che vi sia stato posto da’ nostri primi christiani. Io non so con che ragione sia stato scritto, perché non so come potevano invocare il Creator del tutto a difendere e conservare l’ossa d’una gentile quale era Partenope, oltre che noi habbiamo dagl’antichi scrittori che il sepolcro di Partenope fusse stato collocato nel più alto della città, e questo era presso la chiesa di Santo Anello (come dissimo), essendone state trovate le vestigia. Habbiamo ancora per certissime historie, che qui fusse stato edificato il tempio da Adriano. Diciamo dunque, colla più probabile opinione, che questo fusse stato il segno della consecratione della chiesa fatta dal santo pontefice Silvestro, come si ha per antichissima traditione, e che il nome di Partenope era della città nostra, che si raccomandava alla protezzione di san Giovanni. Questo sì, in questa pietra, vi può cadere una curiosa riflessione, e si è che questa sia antichissima, ed in quei tempi che la lingua greca era naturale in Napoli, in modo che anco nello scrivere latino imitavano carattere greco e le ligature delle lettere che usavano i greci; e per maggiormente avverar questo si può riconoscer in un altro marmo antichissimo, che in detta chiesa si vede poco prima d’arrivare alla porta maggiore, che il carattere col quale scrivevano i puri latini sia d’altra forma, che però io l’ho fatto con ogni diligenza esemplare appunto come ne sta. Anco è da notarsi che tutte le lettere sono d’una sorte di metallo che dà al nero, fuor che A e N, che stanno nella sinistra della croce, che sono di finissimo oricalco che par d’oro. La croce si stima che anco fusse stata di metallo, per i buchi che vi s’osservano cupi di detta croce che la tenevano incastata, ma hora vi manca, ed il vano che vi è rimasto, è stato dorato per farla distinguere.
In mezzo della chiesa, avvanti dell’altare maggiore, vi è una lapide di marmo colla memoria di Jano Anisio, gran letterato de’ suoi tempi, che vi fu sepolto. Presso della sacristia vedesi un gran tronco di colonna di porfido che mostra essere stata maravigliosa quando ella era intera. Nella nave maggiore dalla parte dell’Epistola vi è una tavola nella quale sta espressa la Vergine col Figliuolo in seno, deposto dalla croce con due angeli che lo sostengono, opera di Leonardo da Pistoja. Vi è anco una cappella di bianco marmo della famiglia Ravaschera, nella stessa nave dalla parte dell’Evangelio, opera di Giovanni da Nola. Avvanti la porta maggiore, dalla parte di dentro, si vede fisso in terra ruinato dal tempo un marmo con una memoria, nella quale chiaramente si legge Napoli essere stata republica e che godeva quell’honori e grandezze che haveva la republica di Roma, questa inscrittione; sta portata da tutti i scrittori della nostra patria, ed io qua la riporto, perché anco in queste mie notitie si possa leggere. Mi crepa però il cuore di dolore nel vedere che nella nostra città non vi sia patritio zelante dell’antichità della patria, che non raccogli questi pretiosi monumenti per farli conservare in un luogo decente come cose (per così dire) sacrosante, parlo di questi miserabili avvanzi dell’infiniti che son perduti.”
(Carlo Celano, le Notitie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli per i signori forastieri date dal canonico Carlo Celano napoletano, divise in dieci giornate,[preso dalla Giornata IV] 1692; il grassetto è mio).
Dal Celano apprendiamo almeno due cose: la prima è che anche all’epoca ci si lamentava della conservazione dei “pretiosi monumenti” e in seconda battuta scopriamo che la chiesa fu ampiamente rimaneggiata dopo pochissimo tempo prima per volere del vescovo di Napoli Vincenzo tra il 550 e il 560 e poi, nel 1685 si ebbero altre importanti trasformazioni, quando l’abate Giovanni Paolo Ginetti, affidò i lavori a Dionisio Lazzari.
http://ammazzandomasaniello.wordpress.com/2012/01/22/restituita-al-pubblico-la-basilica-di-san-giovanni-maggiore-di-napoli-sedici-secoli-di-storia/
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