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CENTRO STORICO, UNA DOMANDA ALL'AMBASCIATORE CARUSO
A conclusione di una sequenza di sollecitazioni inviate da più parti e pubblicate in più sedi giornalistiche, sul ritardo della pubblica amministrazione nei confronti della redazione del piano di gestione del centro storico di Napoli - sollecitazioni sfociate anche nell'iniziativa di un sit-in presso gli uffici municipali da parte di alcune associazioni cittadine - l'ambasciatore Caruso, in qualità di affidatario dei rapporti con l'Unesco da parte del Comune,
svela finalmente parte del processo in corso, riassumendo le varie tappe che si sarebbero succedute - ma delle quali i cittadini erano finora pressoché all'oscuro - e conclude assicurando che il termine concesso dall'Unesco al febbraio del 2011 sarà rispettato. Tuttavia la sua lettera colpisce per le modalità della comunicazione, oltre che per la carenza dei contenuti. Mentre infatti su di una questione di tale rilievo sarebbe stato necessario allestire un ufficio regolarmente informato dello stato dei lavori, soprattutto in presenza di ben tre enti pubblici coinvolti (Comune, Curia e Università), nessuno dei tre lo ha ritenuto necessario, perpetuando così la regola cara all'amministrazione pubblica, che consiste nel noto adagio del "lasciateci lavorare". La cosa è doppiamente negativa; non solo per l'implicito disprezzo della pubblica opinione che lascia intravedere, ma anche perché proprio la mancanza di una costante e tempestiva informazione gioverebbe alla pubblicizzazione e infine al consenso che occorre raccogliere attorno all'iniziativa. Quanto ai contenuti dell'informazione ricevuta, appare veramente singolare che non si riesca a conoscere nei nomi e nelle competenze il fantomatico gruppo di lavoro di nove persone cui - secondo una procedura altrettanto misteriosa- sarebbe stato conferito il compito gravoso di cui accenna l'ambasciatore Caruso. Ciò è tanto più grave, in quanto a tale oscura procedura avrebbe dato il proprio consenso anche l'Unesco, cioè l'organismo che ebbe a stigmatizzare - attraverso la lunga relazione dei propri rappresentanti Urland e Rossler - proprio la mancanza di relazioni tra l'elaborazione del Dos e i portatori di interessi locali, gli stakeholders, di cui si parla a lungo in quel documento, raccomandando invece un diverso processo di lavoro che li coinvolgesse. Anzi, l'Unesco sarebbe stato l'organismo che ha "reclutato" gli esperti per conto del Comune di Napoli. Ora, non abbiamo dubbi che il lavoro della redazione di un piano di gestione sia cosa alquanto complessa, se per poco si vuole dare un senso concreto e operativo a tale documento tecnico-amministrativo. Così come siamo peraltro altrettanto certi che i termini di tempo concessi, affinché il risultato sia un prodotto di qualità, difficilmente potranno essere rispettati. Ma ciò che non si comprende è perché mai l'Unesco, che aveva dato quel termine ultimativo, sia poi l'organismo che si dispone a garantirne il rispetto; è un organo di controllo, oppure un organo di elaborazione? La novità procedurale sbandierata come tale dall'ambasciatore Caruso è in questo senso piuttosto equivoca. E a questo punto ancora più incomprensibile appare l'aver tenuta finora segreta non solo la composizione della cosiddetta "cabina di regia", ma anche quella dell'intera compagine del gruppo di esperti, che - a meno di clamorose sorprese - vedrebbe coinvolti, in luogo di alcuni dei numerosi conoscitori locali della problematica del centro storico, non precisate competenze estranee. Viene da chiedersi: ma l'Università ha accettato senza obiezioni tale procedura? O invece l'affidamento del lavoro è stato compiuto proprio servendosi delle competenze presenti in quell'ente? E per quale motivo l'ambasciatore Caruso indica solo il numero degli esperti e non i nomi, e nulla dice delle modalità seguite per l'affidamento del compito? Forse l'avere affidato per convenzione la cosa direttamente all'Unesco lo esime dal fornire ulteriori spiegazioni? Vogliamo sperare che con un successivo comunicato egli voglia farlo, così da rispondere più compiutamente alla legittima aspettativa d'informazione che l'opinione pubblica attende.
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